Corso di fotografia digitale compatto per aspiranti fotografi

Questo è un corso “compatto” per iniziare a fotografare con le nozioni minime per capire cosa si sta facendo, un input per cominciare e sapere cosa cercare per approfondire i vari argomenti. Data la natura del testo cercherò di essere sintetico ma fornirò dei collegamenti per continuare la lettura in modo più approfondito, vi consiglio di leggerlo sino alla fine per poi dedicarvi allo studio dei singoli punti.

 

Storia della fotografia

Le conoscenze che hanno portato all’apparecchio fotografico sono state messe insieme nel 1800, la prima “fotografia” probabilmente è quella di Joseph Nicéphore Niépce, che nel 1826/27 impressiono una lastra per ben 8 ore (ora ci vuole un istante…). Negli anni 30 il francese Louis Mandé Daguerre comincia ad immortalare vari soggetti portando alla vera nascita nel 1839 della fotografia come la conosciamo oggi.

I primi apparecchi venduti nel 39 da Daguerre sono delle scatole di legno estensibili (le prime compatte…) con una semplice ottica da un lato ed un vano per le lastre sensibili dall’altro.

Le lastre non vedranno concorrenza sino al 1888, quando nasce la Kodak N.1, prima pellicola avvolgibile, realizzata in carta cosparsa di materiale fotosensibile, successivamente nel 1891 arriva la pellicola di celluloide avvolta in rulli, praticamente quella moderna!

  • Dagherrotipia su Wikipedia (link)
  • Pellicola fotografica su Wikipedia (link)
  • Storia dela Eastman Kodak Company su Wikipedia (link)
  • Viaggi nella storia della fotografia di Nikon School (link), completa e molto interessante.

 

L’apparecchio fotografico

Tecnologia e materiali sono cambiati, ma il principio di funzionamento è rimasto immutato; la fotocamera è una scatola oscura con un foro da una parte per far entrare la luce, su cui magari mettere un’ottica fatta con varie lenti ed un elemento sensibile sul lato opposto, che attraverso un meccanismo chiamato otturatore viene esposto alla luce solo quando lo decidiamo noi.

Esistono svariati tipi di apparecchi fotografici, il marketing di oggi ha sfornato una nomenclatura infinita, ma essenzialmente tutti rientrano in due sole categorie:

  • Obiettivo fisso, macchine che nascono con l’obiettivo solidale al corpo, non sostituibile dal fotografo.
  • Obiettivo intercambiabile, macchine che possiedono un attacco a vite o baionetta che permette al fotografo di sostituire l’obiettivo in base alle sue necessità.

Nelle macchine ad obiettivo fisso rientrano gli smarthphone, le compatte ed anche modelli più ingombranti e costosi. In questo grande calderone si trovano modelli economici che sono poco più che giocattoli, ma anche ottimi apparecchi per qualità dell’immagine e possibilità di usare un vasto repertorio di accessori.

Le macchine ad obiettivo intercambiabile moderne si dividono in due gruppi:

  • Con specchio (DSLR, Digital single-lens reflex), in cui uno specchio porta l’immagine al mirino ottico rappresentandola così come arriverà al sensore, alla pressione del pulsante di scatto lo stesso si alza in una frazione di secondo permettendo alla luce di arrivare al sensore.
  • Senza specchio (mirrorless), in questo caso non c’è un mirino ottico in linea con l’obiettivo ma uno digitale, il display posteriore oppure un mirino ottico laterale, che non “vede” attraverso l’obiettivo.

Le DSLR sono per antonomasia le macchine dei professionisti, offrono qualità ed adattabilità ad ogni situazione, con un parco obiettivi ed accessori in genere molto vasto.

Le mirrorless sono nate relativamente da poco, in generale sono più compatte delle DSLR grazie alla mancanza dello specchio, quelle moderne offrono prestazioni molto simili alle sorelle ed il parco accessori è in continuo incremento.

Il sensore in una macchina digitale, insieme all’obiettivo è ciò che da il risultato finale dell’immagine, qualitativamente parlando. Non è tanto importante la quantità di fotodiodi presente (ah si, tutti dicono megapixel ma sbagliano, i pixel sono negli schermi…), che fra l’altro oggi è ormai più che sufficiente per una buona stampa anche nei modelli base, quanto le dimensioni fisiche del sensore e quindi la grandezza dei singoli fotodiodi, più grandi sono meglio è, ovviamente per avere fotodiodi più grandi a parità di “megapixel”, serve una superficie più grande!

Attualmente sul mercato le principali scelte che possiamo trovare, in ordine di grandezza sono:

  • sensori di piccolo formato (1/1.2“, 2/3”, 1/1,7“, 1/2,3”, 1/3,2″), per smarthphone e compatte a basso costo
  • sensori da 1 pollice, per le compatte di fascia alta
  • sensori micro 4/3, usati principalmente da Olympus, Panasonic e Blackmagic
  • sensori APS-C (il nome deriva da un formato di pellicola), usato da diverse case in compatte di alta gamma e reflex di vario livello
  • sensori full-frame (dimensioni della classica pellicola da 35mm), usati sulle reflex di fascia alta. Come vedremo più avanti è un punto di riferimento per “misurare” gli obiettivi.
  • sensori medio formato (dimensioni varie, più grandi del full-frame), usati su apparecchi professionali e decisamente molto costosi

Di seguito una tabella per darvi un’idea delle dimensioni di ogni formato:

Formato Dimensioni (mm) Superficie (mm2)
Medio formato 43.8 x 32.9 1441
Pieno formato (35mm) 36 x 24 864
APS-C 23.6 x 15.7 380
APS-C (Canon) 22.2 x 14.8 329
Micro 4/3 17.3 x 13 225
1 pollice 13.2 x 8.8 116
1/1.7 pollice 7.6 x 5.7 43
1/3 pollice (smarthphone) 4.8 x 3.6 17

Il pieno formato viene spesso chiamato 35mm

Giusto come nota, i produttori di sensori sono pochi, la maggior parte di essi esce dalle fabbriche della Sony, ogni casa poi li personalizza e li utilizza per la propria linea di macchine fotografiche.

 

Obiettivi e diaframma (Apertura)

Gli obiettivi moderni sono frutto di decenni di ricerca ed evoluzione tecnologica, schemi formati da lenti di varia forma, divisi in gruppi mobili che consentono la messa a fuoco e la variazione di focale (zoom).

Dentro un obiettivo oltre i gruppi di lenti, i motori per azionarli e l’elettronica che comunica con la macchina si trova anche il diaframma, un sistema composto da varie lamelle che forma un apertura più o meno circolare, che il fotografo può regolare come fosse un rubinetto per il flusso di luce.

Diaphragme Photo

Esempi di diaframma, dal più aperto al più chiuso.

L’apertura del diaframma si indica con il valore f/stop e, partendo da 1 aumenta di uno stop moltiplicando per radice di 2 (1,414 circa), ad ogni aumento il “foro” dimezza le sue dimensioni e di conseguenza la quantità di luce che arriva al sensore, ecco i principali valori della scala:

f/1 - f/1,4 - f/2 - f/2,8 - f/4 - f/5,6 - f/8 - f/11 - f/16 - f/22 - f/32 - f/45 - f/64 - f/90 - f/128

(diverse macchine supportano anche valori intermedi)

Ricordatevi sempre che quando modificate di 1 stop il diaframma nella scala riportata sopra, state dimezzando o raddoppiando la quantità di luce che arriva al sensore, e quindi modificando il tempo di scatto, che vedremo nel prossimo capitolo.

Alcuni obiettivi riportano una ghiera con una parte di questi valori, gli stessi sono riportati nel display delle compatte, che non è detto abbiano la ghiera, ma anche nei mirini delle DSLR per vedere facilmente l’impostazione corrente.

Considerate che gli obiettivi che “aprono” a f/1 (o addirittura meno) sono eccezioni, perché è difficile e costoso costruire ottiche così luminose, un f/1,4 si considera un obiettivo di tutto rispetto, molto luminoso. Le maggior parte delle ottiche “chiude” a f/22, solo pochi obiettivi vanno oltre.

Le ottiche rendono generalmente al meglio chiudendo di 1 stop il diaframma. Chiudendo al massimo il diaframma entra in gioco il fenomeno della “diffrazione”, che rende il diaframma un ostacolo al passaggio della luce, peggiorando la qualità.

Sugli obiettivi viene riportata la lunghezza focale (che vedremo a breve), massima e minima nel caso di uno zoom, ed il valore di apertura massimo, nella forma 35mm f/1,4. Per quanto riguarda gli obiettivi “zoom” se viene riportato un solo valore, per esempio f/4, significa che l’ottica mantiene l’apertura massima agli estremi dello zoom, altrimenti ci sarà una coppia di valori, per esempio f/3,5–5,6 dove il primo indica l’apertura alla focale minima ed il secondo a quella massima (zoom esteso).

Già, ma cos’è la lunghezza focale? Un modo brutto per capire l’angolo di campo che inquadrerà un obiettivo (più è grande, più è ampia l’aria inquadrata), tecnicamente è la distanza tra il punto focale dell’obiettivo (diciamo al centro per comodità) ed il piano su cui vengono proiettate le immagini (il sensore) e si misura in millimetri.

Sarebbe più facile parlare di angolo di campo “oh guarda il mio obiettivo copre 160°!”, fantastico, purtroppo però nel tempo si è ben stabilito un sistema diverso, legato ala pellicola da 35mm, quindi su un sensore di dimensioni diverse le cose cambiano. Facciamo un po’ di esempi elencando le focali di alcune ottiche pieno formato, a cosa servono e tra parentesi cosa “diventano” su un sensore formato APS-C (si moltiplica per 1,6) e micro 4/3 (si moltiplica per 2):

Pieno Formato APS-C m4/3 Descrizione su pieno formato
10mm 16mm 20mm Ottica super grandangolare, per paesaggi spinti e foto di mucche col nasone!
35mm 56mm 70mm Ottica grandangolare, per paesaggi, fotografia di strada e tante altre cose
50mm 80mm 100mm Ottica “normale” su pieno formato, restituisce la scena quasi come la vede l’occhio umano, un tuttofare
80mm 128mm 160mm Ottica da ritratto, buona anche per la macro fotografia
135mm 216mm 270mm Entriamo nella zona dei teleobiettivi, si può usare per il ritratto su 35mm ma anche per fotografare animali non troppo lontani
200mm 320mm 400mm Siamo nei teleobiettivi, io l’ho usato per “rubare” qualche ritratto, in natura ci sono tanti spunti per farne buon uso

Cosa significa questa tabella? Che un 35mm per pieno formato, montato su una APS-C (le baionette sono spesso compatibili rimanendo nella stessa casa) diventa un 56mm, quindi passiamo da una focale grandangolare, buona per fotografare in strada ma anche per un paesaggio, ad un 56mm, più adatto al ritratto o comunque a particolari piuttosto che ad un paesaggio.

Montando la stessa ottica con focale da 35mm su una macchina micro 4/3 (con un adattatore si può fare), diventa un 70mm, un modesto tele, buono per i ritratti, molto meno per la fotografia di strada o il paesaggio.

Dato che sia le ottiche per APS-C che per micro 4/3 riportano la lunghezza focale nel pieno formato, quando si acquista una nuova ottica è bene leggere l’equivalenza, che in genere viene riportata, o calcolarla manualmente.

Le ottiche sono compatibili tra case e formati diversi?

Si e no, diciamo che il miglior modo per lavorare con una macchina è quello di usare ottiche della stessa casa prodotte per quel formato o quelle di altri marchi dichiarate compatibili, così si ha la sicurezza che la messa a fuoco automatica ed il controllo del diaframma o di un eventuale sistema di stabilizzazione funzionino alla perfezione. Detto questo diciamo che:

  • Ottiche APS-C Canon e Nikon, per fare un esempio, non vanno assolutamente d’accordo.
  • Ottiche di un formato superiore possono funzionare su uno più piccolo con o senza adattaroe, non è detto però che mantengano gli automatismi, sopratutto tra marchi diversi.
  • Al contrario ottiche sviluppate per un formato più piccolo non possono funzionare su quello più grande, o addirittura possono fare danni bloccando lo specchio di una DSLR pieno formato.
  • Le “vecchie” ottiche manuali per pieno formato in generale si prestano bene ad essere utilizzate su APS-C e micro 4/3 tramite adattatori, non avendo automatismi funzionano per come erano state progettate, ovvero diaframmi e messa a fuoco manuali.
  • Infine il formato micro 4/3 grazie al ridotto “tiraggio”, ovvero la distanza tra il sensore e l’attacco della baionetta, e le dimensioni del sensore relativamente contenute può montare le ottiche più svariate (e stravaganti) tramite adattatori, tra cui anche quelle CCTV, realizzate per le telecamere di sorveglianza!

Apertura

Prima di passare al prossimo capitolo torniamo un’attimo sull’apertura, perché insieme al tempo ed alla sensibilità crea una triade fondamentale per la fotografia. L’apertura ha un ruolo fondamentale in fotografia, come detto controlla il fascio di luce che entra nella fotocamera, ma non solo, regola anche la profondità di campo.

Gli obiettivi non mettono a fuco tutto ed a qualsiasi distanza, ma una “zona” chiamata profondità di campo, che si espande chiudendo il diaframma (f/stop più alto). Mettiamo di voler fotografare una modella/o a 2 metri di distanza, con una macchina su cui è montato un 60mm, vi riporto un paio di diaframmi per darvi un’idea di come funziona:

Apertura P.F. (ottica 60mm) APS-C (ottica 37,5mm) micro 4/3 (ottica 30mm)
f/1,4 9.15cm 15cm 18.6cm
f/2,8 18.3cm 30.2cm 37.5cm
f/4 26cm 42.9cm 53.5cm
f/5,6 36.9cm 61.4cm 76.9cm
f/8 52.6cm 88.8cm 112.9cm
f/16 110.9cm 206.9cm 290.2cm

Fotografando a f/1,4 in pieno formato. con la messa a fuoco sull’occhio, se ha un naso grosso la punta non sarà ben a fuoco, mi spiego?

Come si evince dalla tabella i sensori più piccoli del pieno formato hanno una profondità di campo maggiore a parità di apertura, questo rende più difficile “sfocare” con i sensori più piccoli, praticamente impossibile con i sensori molto piccoli montati sugli smarthphone.

La profondità di campo di campo dipende dalla distanza di messa a fuoco ma anche dalla lunghezza focale dell’ottica, la stessa macchina a pieno formato con un 90mm aperto a f/1,4 messo a fuoco sempre a 2m ha una profondità di campo calcolata di 4cm (meno della metà del 60mm).

Non si può parlare di apertura senza parlare di iperfocale, in base alla lunghezza focale ed all’apertura ogni obiettivo è in grado di mettere a fuoco da una distanza calcolata sino all’infinito, il che torna utile nei paesaggi, ma anche nella fotografia di strada.

Facciamo un esempio per spiegare come l’iperfocale sia interessante quando si vuole scattare in strada; partiamo sempre dalla nostra macchina pieno formato, con montato un 24mm, chiudendolo a f/5,6 la profondità di campo si estende da 3.42m a infinito. Quindi con un ottica manuale o disattivando l’autofocus, impostando la ghiera di fuoco su infinito saremo sicuri che tutto quello che si trova a più di 4m sarà a fuoco senza problemi. Questo sistema era il pane dei grandi maestri della “street photography”.

  • Pinhole: istruzioni per fotografare senza obiettivo (link)
  • Depth of Field Calculator, permette di calcolare profondità di campo e iperfocale (link)

 

Corpo macchina ed otturatore (Tempo)

Il corpo macchina racchiude il sensore d’immagine e tutta l’elettronica necessaria affinché la macchina metta a fuoco, esponga la scena e salvi i file per noi nella scheda di memoria.

Davanti al sensore si trova il secondo elemento fondamentale per la fotografia, l’otturatore. Un sistema composto da 2 tendine che oscurano il sensore e si aprono solo per il tempo necessario allo scatto. Nelle macchine moderne, in particolare compatte e mirrorless in realtà il sensore è sempre esposto per consentire di vedere l’immagine, al momento dello scatto si chiude rapidamente permettendo allo stesso di partire al buio e quindi compiere il suo normale ciclo sino al termine della foto.

Sui sensori più piccoli, come quello degli smarthphone, spesso si parla di otturatore elettronico, un sistema non mobile integrato nel chip per risparmiare spazio. Nelle macchine moderne esistono anche otturatori “ibridi”, che permettono di sfruttare quello elettronico per diminuire il rumore meccanico o per raggiungere tempi di scatto brevissimi.

Comunque sia fatto l’otturatore della vostra macchina, l’importante è capirne l’uso, che consiste nella fondamentale gestione del tempo.

Il tempo nelle macchine fotografiche viene espresso in secondi e frazioni di secondo, divise anch’esse da 1 stop e legate all’apertura (ed alla sensibilità) dalla regola di reciprocità, se sale uno scende l’altro e viceversa.

1s - 1/2 - 1/4 - 1/8 - 1/15 - 1/30 - 1/60 - 1/125 - 1/250 - 1/500 - 1/1000

Questa è una scala dei tempi più comuni, che si possono trovare sulle ruote di comando delle fotocamere che ne sono dotate ed ovviamente vengono riportati sul display. con eventuali scelte di tempi intermedi e/o oltre questa scala.

Ricordatevi 1/60 perché è il tempo minimo per fare una foto a mano libera senza mosso e senza ausili elettronici (stabilizzatore) con un obiettivo “normale”, ovvero il 50mm su pieno formato, è anche il tempo per fare la foto ad un gruppo di amici adulti senza che vengano mossi, se non si agitano troppo. Se ci sono bambini nel mezzo è un’altra storia, un bambino piccolo che gioca e si agita vi darà grattacapi a 1/125 ed oltre…

Con l’esperienza, ovvero posizione giusta e magari trattenendo per un attimo il respiro (non scherzo!), si può scendere a 1/30 tranquillamente, sempre che non vi siano soggetti in movimento inquadrati.

La regola vale sino al 50mm, va bene quindi con un 20mm per fare un esempio, ma oltre come funziona? In linea di massima vale il tempo di 1 su focale reale, quindi per un 100mm su pieno formato in linea di massima si va a 1/100 o meglio 1/125 se consideriamo la scala sopra riportata.

Passando ad APS-C un 100mm diventa equivalente ad un 160mm, quindi ci vuole 1/250 (il tempo intero più vicino,). Su una micro 4/3 si raddoppia, quindi per un obiettivo equivalente a 200mm anche qui andiamo a 1/250 di secondo.

Tenendo a mente questa regola sono sempre riuscito a portare a casa delle foto nitide, da poco però ho un piccolo aiuto che mi permette di abbassare il tempo di alcuni stop mantenendo la nitidezza, lo stabilizzatore. Ne esistono di due tipi, quelli integrati nell’obiettivo che funzionano muovendo una lente, e quelli applicati al sensore.

In entrambi i casi lo scopo è quello di compensare i micro movimenti prodotti dal nostro corpo, permettendo a seconda del modello di guadagnare (teoricamente) sino a 5 stop, in ogni caso anche un paio di stop permettono di mantenere i tempi più bassi o di non esagerare con la sensibilità, ma di quest’ultima parleremo a breve.

Infine torno un attimo sulla regola di reciprocità, se state scattando a f/4 con un tempo di 1/60 e chiudete al diaframma successivo, ovvero f/5,6 il tempo va raddoppiato a 1/30, viceversa passando a f/2,8 va dimezzato a 1/125.

 

Esposizione e sensibilità (ISO)

L’esposimetro è quel meraviglioso strumento che misura la scena e vi dice che coppia di tempo/diaframma potete usare, nelle macchine moderne è un sistema controllato dal computer di bordo che analizza tutta la scena, la compara a degli schemi prestabiliti, fa un po’ di equazioni e 1 millesimo di secondo dopo configura la macchina per lo scatto, o se lavorate in manuale vi dice se avete azzeccato o di quanto state sbagliando l’esposizione.

Sulle macchine fotografiche il tasto di scatto ha due livelli di pressione, la pressione leggera attiva esposimetro e messa a fuoco, la seconda pressione scatta, in genere premendo a fondo una macchina moderna è capace di fare tutto in una volta, ma c’è un perché viene mantenuto questo sistema.

Quando si fotografa è comodo anche se probabilmente sbagliato mettere a fuoco dove si vuole con la prima pressione, ricomporre e scattare, piuttosto che spostare qua e la il punto di fuoco sul display. E’ sbagliato in parte perché se state lavorando con un diaframma molto aperto, come f/1,4, è facile che ricomponendo quello che pensavate a fuoco non lo sarà più, quindi attenzione.

La sensibilità esprime la capacità del sensore di catturare la luce, parte da una base di 100, per alcuni sensori da 200 e cresce di uno stop moltiplicano per 2, quindi:

100 – 200 – 400 – 800 – 1.600 – 3.200 – 6.400 – 12.800 – 25.600 – 51.200 – 102.400

Su alcune macchine sono disponibili valori minori, come 50 o 75 ed impostazioni intermedie, le sensibilità più elevate si trovano solo sui sensori più grandi, pieno formato.

La sensibilità ISO, insieme ad apertura e tempo forma una triade di parametri fondamentali per lo scatto, e come gli altri due anche la sensibilità è legata alle altre dalla regola di reciprocità. Quindi aumentando per esempio la sensibilità di 1 stop, da 100 a 200, si può aprire il diaframma di 1 stop o dimezzare il tempo.

Aumentando la sensibilità il sensore riesce a catturare più luce, uno dei risvolti della medaglia è l’aumento del “rumore digitale”, i fotodiodi diventano meno precisi e cominciano a mostrare “pixel che non dovrebbero esserci” nelle zone più scure della foto, l’immagine perde di nitidezza ed i colori di incisione.

#### Modalità di scatto#### Su una macchina moderna potete trovare diverse modalità di scatto, gestibili in genere tramite una ruota, indicate dai nomi più strani, ma quelle storiche che non possono mancare su una vera macchina fotografica, sono solo 4 e vengono indicate dalla sigla PASM, in base alle iniziali in inglese, che indicano:

  • Programma, la modalità più semplice, in cui la macchina propone una coppia di tempo/diaframma e tramite un controllo l’utente può modificarla selezionando altre coppie disponibili.
  • Apertura di diaframma, in cui l’utente imposta diaframma (e la sensibilità ISO) e la macchina provvede ad indicare un tempo adatto.
  • Priorità di tempo, al contrario della precedente si imposta il tempo e la macchina imposta l’apertura di conseguenza.
  • Manuale, tocca al fotografo impostare sia tempo che diaframma e gestire la sensibilità, la macchina proporrà su una scala lo scostamento da quella che ritiene l’esposizione corretta.

Io sono un fotografo da Apertura, mi piace scegliere l’apertura in base alla profondità di campo che desidero ottenere e lasciare che la macchina calcoli il tempo corretto ed aumenti la sensibilità da sola se necessario, per non utilizzare tempi troppo bassi.

Sulle macchine moderne infatti si può impostare la sensibilità ISO in automatico, generalmente scegliendo anche i limiti, lasciando che sia il sistema di esposizione ad occuparsene in automatico.

Altro parametro che entra in gioco durante lo scatto nelle modalità PASM è la compensazione, tramite una ghiera o l’interfaccia della fotocamera è possibile indicare alla macchina di sotto o sovra esporre di un valore che in genere arriva sino a 5 stop. L’esposimetro farà i suoi calcoli e si comporterà di conseguenza, eseguendo la variazione.

La compensazione diventa molto utile in quei casi, pochi ormai per la verità, in cui l’esposimetro della fotocamera non legge bene la scena, classico esempio è dato da un’esposizione troppo scura sulla neve.

Ovviamente è possibile compensare anche per un utilizzo creativo, perché si vuole ottenere un effetto diverso da quello proposto dall’esposizione standard.

 

Bilanciamento del bianco

Il sensore non ha un bilanciamento prestabilito, di scatto in scatto alla pressione leggera del pulsante il computer di bordo analizza la scena e decide che tipo di luce è presente, del sole piuttosto che al tungsteno e si comporta di conseguenza.

Temperatura Colore Descrizione
1.000K Rosso Candela
3.200K Giallo Lampada fluorescente / alogena
3.500K Giallo Sole al tramonto
4.000K Giallo Lampada “Bianco freddo”
5.500K Bianco Bianco puro (DayLight), sole estivo a mezzogiorno
5.900K Azzurrino Luce del flash
6.000K Azzurro Impostazione “nuvoloso”
6.500K Azzurro Lampada fluorescente a luce diurna
7.000K Azzurro intenso Cielo parzialmente nuvoloso, impostazione “in ombra”
9.500K Blu Cielo limpido

Ci sono macchine fotografiche che fanno meglio di altre questo lavoro, comunque tutte (anche gli smartphone ormai) offrono la possibilità di scegliere manualmente il bilanciamento tra una lista o di impostarne uno proprio fotografando semplicemente un foglio di carta bianco, che la macchina utilizzerà come riferimento.

Che succede se si usa bilanciamento errato? Semplicemente la foto assume delle dominanti di colore, dovute alla temperatura impostata non corretta.

Il bilanciamento infine si può fare anche dopo, lavorando sui file, ne parleremo fra poco.

 

File digitali, uso e manipolazione

Le macchine fotografie digitali e parte degli smarthphone possono produrre due tipi di file, jpeg e raw.

I file JPEG sono un po’ la “pappa pronta”, file che si possono aprire facilmente su qualsiasi computer o smarthphone, e mandare in stampa così come sono. Il loro limite è nella manipolazione, si può fare ma non ci sono abbastanza dati per andare oltre un certo limite.

Ci vengono incontro i file raw, file grezzi che contengono tutti i dati che ha catturato il sensore, sono più pesanti (in termini di megabyte) e compressi senza perdita a differenza dei jpeg. Il computer di bordo della fotocamera produce i file Jpeg partendo dai dati raw, elaborandoli in base alle impostazioni scelte dall’utente sulla fotocamera.

Una decina di anni fa lessi il commento di un fotografo che diceva qualcosa come “scatto in raw e conservo i file perché un giorno potrebbe esserci un software che li elabora molto meglio di quelli disponibili attualmente”, in effetti è stato così. Allora la fotografia digitale era in incubazione, in un decennio non solo sono migliorate le macchine ma anche i software ed i PC su cui vengono eseguiti.

Parlando di software, in genere con ogni macchina ne viene fornito a corredo uno, specificatamente sviluppato per processare i file raw del marchio (a parte il formato “dng” usato da alcune macchine, gli altri file raw sono proprietari e cambiano di estensione in base alla casa che produce la macchina), ci sono poi il re e la regina del mercato, Adobe Photoshop ed Adobe Lightroom.

  • Adobe Photoshop è per antonomasia il re dei programmi di foto ritocco, include uno dei più potenti plug-in per l’importazione dei file raw, ed i tool per la manipolazione delle singole immagini sono infiniti.
  • Adobe Lightroom è l’applicazione per gestire il catalogo di foto, permette di inserire tag, dare un punteggio, creare delle copie, elaborare sia jpeg che raw ed anche di apportare un minimo di ritocchi, che non richiedano la flessibilità di Photoshop.

Ci sono diversi altri software di ottima qualità, ma se vi guardate in giro scoprirete che qualsiasi corso, qualsiasi serata in cui si parla di software, è dedicata a loro, punto.

Come si fa ad averli? Abbonandosi al piano fotografia Creative Cloud di Adobe si possono utilizzare entrambi i programmi su due PC (Mac o Windows) e si hanno una serie di servizi come le app mobile ed il portfolio on-line. Spesso ci sono delle promozioni che permettono di abbonarsi risparmiando un paio di euro.

Volete iniziare a costo zero? C’è un software gratuito in costante sviluppo, disponibile praticamente per ogni piattaforma, si chiama RawTherapee e permette di gestire il catalogo ed elaborare i file raw senza spendere nulla.

 

Luce naturale e fonti artificiali

Io adoro la luce naturale, sopratutto nella cosi detta “ora d’oro”, che si verifica subito dopo l’alba e prima del tramonto. Tuttavia vi sono varie situazioni in cui è necessario correggerla o affidarsi del tutto ad una fonte artificiale.

Il modo più semplice per manipolare la luce naturale in esterni, quando si fotografa una persona ad esempio, è quella di utilizzare un pannello. Quello più semplice è rotondo, realizzato con una struttura che permette di piegarlo ed ha un lato dorato ed uno argentato, il primo riflette una luce calda, il secondo più fredda, ne esistono anche bianchi e semi trasparenti da usare a mo di ombrelli. In qualsiasi video che coinvolge fotografi e modelle/i in esterno vedrete assistenti dimenarsi nel tentativo di beccare la luce e rifletterla nel modo corretto.

Ricordo un occasione in particolare, durante un workshop, in cui uno di noi partecipanti a turno indirizzava con il pannello la luce all’interno di una stanza mezza diroccata, buia, dove si trovava la modella, il risultato finale è stato molto interessante.

Luce artificiale La luce artificiale a disposizione di noi fotografi si può suddividere in due grandi categorie, fissa e flash.

Fanno parte della categoria luce fissa tutti quei dispositivi che mantengono l’illuminazione costante, pannelli LED, piccoli fari e lampade da studio. Il vantaggio della luce fissa, sopratutto per i principianti, e che si può vedere il suo impatto ad occhio nudo, è facile regolarla e posizionarla a proprio piacere, secondo necessità.

Al contrario i flash emettono un lampo di pochi istanti, quelli integrati nella fotocamera o che fanno parte di un sistema che la fotocamera può gestire si regolano praticamente da soli, mentre quelli “manuali” richiedono una certa pratica. Il vantaggio della luce flash è che un dispositivo di piccole dimensioni può emettere un lampo più potente, con una copertura maggiore rispetto ad una luce fissa.

Negli studi fotografici si usano le monotorce, che dispongono di un luce pilota fissa e di una lampada flash, la prima consente di avere una sorta di anteprima di cosa farà la seconda, oltre che a fornire una buona fonte di luce per comporre e mettere a fuoco.

Flash integrati ed esterni Molte fotocamere di fascia medio bassa integrano un flash, sulla parte frontale del corpo macchina, o che appare (pop-up) su richiesta uscendo da un suo alloggio sulla parte alta o alzandosi dalla cupola che contiene il mirino. I flash integrati hanno bassa potenza, non possono ruotare la propria posizione (puntano solo in avanti), non hanno una parabola in grado di modificare l’angolo di emissione (anche i flash dispongono di uno zoom!) ed infine sono molto vicini all’obiettivo; se si usa un ottica lunga è facile che intralci il fascio luminoso.

Quindi a cosa servono? Possono essere utile per schiarire le ombre di un soggetto in controluce, purché sia abbastanza vicino da renderlo efficace, quindi sto parlando di situazioni in piena luce. Può essere utile anche per scurire lo sfondo di un soggetto in esterni, infatti illuminando il soggetto a poca distanza dalla camera, il resto risulterà sottoesposto.

I flash esterni invece sono un’altra storia, la potenza può essere molto più alta, la testa spesso si può direzionare, si possono usare anche staccati dalla macchina ed in gruppi, quelli di alta gamma possiedono parabole motorizzate (lo zoom) e permettono di montare accessori per modellare e modificare la luce.

Come si misura la potenza del flash? La potenza di un flash viene indicata dal numero guida, fa riferimento alla seguente formula considerando una impostazione della sensibilità pari a ISO 100.

apertura di diaframma = numero guida / distanza

Al variare della sensibilità bisogna adeguare il numero guida moltiplicandolo per 1.4 (radice quadrata di 2) ad ogni stop. Per fare un esempio, una delle mie fotocamere ha un flash pop-up con numero guida 8.2 a ISO 200, quindi a questa sensibilità, con un soggetto a 2 metri la formula diventa:

8.2 / 2 = f/4,1

Quindi un diaframma f/4 andrebbe bene per esporre correttamente. Aumentando di due stop la sensibilità si può semplicemente raddoppiare il numero guida, quindi a ISO 800:

16 / 2 = f/8

Il bello delle fotocamere moderne e che se usate il flash integrato o un sistema esterno compatibile, la macchina fa tutto da sola ed espone correttamente in un attimo. Per informazione, in questo processo la macchina può usare il pre-lampo, un emissione a bassa intensità, per calcolare l’esposizione e quindi scattare erogando la potenza esatta.

 

Il treppiedi

Fra gli accessori disponibili il primo che vi consiglio di acquistare e che vi tornerà utile per lungo tempo è senza ombra di dubbio il treppiedi.

La sua funzione principale è semplice, avvitando alla testa la macchina fotografica permette un appoggio stabile per utilizzare tempi lunghi scongiurando il mosso. Inoltre è un comodo supporto per l’uso di ottiche lunghe e pesanti.

I tempi lunghi hanno un proprio fascino, date ad una cascata 10 secondi di esposizione e l’acqua apparirà come seta. Lo stesso si può fare con il mare per esempio, ma anche in una piazza, dove le persone in movimento appariranno come fantasmi in movimento.

Esistono treppiedi di ogni dimensione e genere, nonché costo. La mia borsa fotografica contiene sempre un piccolo treppiedi Manfrotto Pixi, che regge tranquillamente una mirrorless con uno zoom montato (porta sino a 2,5 kg), ha un altezza massima di 13,5cm, chiuso occupa meno di 20cm.

Quando parto sapendo di aver bisogno di un treppiedi “vero”, ne porto con me uno a 3 sezioni, sempre Manfrotto (che non posso fare a meno di consigliare) in grado di estendersi sino ad 1,5m se necessario.

I treppiedi possono avere la testa integrata o sostituibile nei modelli più costosi, per iniziare un buon treppiedi con testa a sfera (facile da usare e compatta) è l’ideale.

Infine esistono i monopiede, dei “paletti” con le sezioni allungabili per arrivare ad un altezza utile per avere un saldo appoggio li dove non si può utilizzare un treppiedi. Interessanti con gli obiettivi più pesanti, non sono comunque in grado di fornire un appoggio abbastanza stabile da poter utilizzare tempi lunghi.

 

Filtri

Quando la pellicola dominava il mercato, si trovavano in vendita filtri di ogni tipo, con l’avvento del digitale in massima parte sono stati sostituiti dalla post produzione, solo alcuni non possono essere sostituiti:

  • UV, filtri che hanno un basso impatto sulla foto, utili essenzialmente per proteggere la lente frontale dell’obiettivo.
  • Polarizzatore, sfrutta il fenomeno della polarizzazione per modificare la scena. Il cielo diventa più intenso con le nuvole ben visibili, le superfici d’acqua trasparenti, mostrando cosa si cela sotto.
  • Densità Neutra (ND), filtri che rendono la scena più scura di diversi stop, in base al modello, consentendo di usare diaframmi più aperti o tempi più lunghi.
  • Filtri graduati, disponibili in lastre, partono da una zona completamente trasparente per arrivare ad una più scura di diversi stop.

I filtri svengono venduti in montature rotonde da avvitare alla filettatura frontale dell’obiettivo ed in lastre che vanno inserite su un apposito supporto, che va anch’esso avvitato all’obiettivo.

I filtri devono avere ovviamente il diametro dell’obiettivo, in genere riportato attorno alla lente anteriore, per adattare il filtro a diametri più piccoli, risparmiando quindi l’acquisto di nuovi, si possono utilizzare degli appositi adattatori.

Per iniziare a familiarizzare con i filtri non posso che consigliare un kit di medio costo composto da UV/Polarizzatore ed ND, diffidate assolutamente dai kit economici disponibili su eBay ed altri siti; degradano troppo la qualità dell’immagine per essere utili.

 

Grandi maestri da ammirare

Chiudo questo breve corso con una lista, anch’essa breve, di Grandi Maestri che hanno fatto la storia della fotografia, cercate sui motori di ricerca la loro storia e sopratutto scopritene le fotografie!

Buona luce a tutti!